“La pittura di Evita Andújar è una sferzata rivitalizzante all’intero mondo dell’arte contemporanea. Proveniente dal restauro, Evita ha conoscenze approfondite di materiali e tecniche, della classicità come della contemporaneità: ne deriva una proposta artistica che attraversa l’arte del Novecento cogliendone gli insegnamenti e le innovazioni, per proiettarsi in un Terzo Millennio all’insegna delle fibrillazioni e dell’inquietudine.
Un fare artistico, il suo, che prorompe sulla tela con esplosioni timbriche improvvise, a spezzare una stesura prevalentemente tonale, dove il gesto, a lungo meditato, si fa rapido, accurato e liquido, quasi si trattasse di acquarello e non di acrilico. Ma questa diluizione del colore non determina solo trasparenze e sdoppiamenti, ma anche l’avvento di una invasione dinamica della tela da parte di rossi passionali e neri di contrasto, su cui Evita punta le fiches della propria originalità stilistica.
Nei “selfies rubati” di Evita Andújar, spesso il soggetto subisce una defigurazione, di certo non drammatica e radicale come avviene nelle opere di Bacon, ma si tratta, piuttosto, di “morbide” deformazioni che servono a dare un respiro universale alla rappresentazione, sottraendola a gratuite supposizioni di riconoscimento o di identificazione.
Protagonista degli “Stolen selfies” di Evita è sempre e comunque “la Donna”, declinata in mille differenti atteggiamenti, immersa in una dimensione che non offre punti di riferimento, forse nella propria stanza, forse in una camera d’albergo, alle prese coi propri pensieri, con una quotidianità sfuggevole, ingiudicabile, appesa all’attimo stesso immortalato dal selfie.
Ma a dispetto di una vita liquida, in cui tutti galleggiamo perché la realtà in cui viviamo muta costantemente, prima che siamo in grado di conferirle una parvenza di solidità, le donne di Evita sono come percorse da una vibrazione che le sdoppia, le destruttura, le scioglie.
Sono immagini paradigmatiche delle eroine inquiete dei nostri giorni, donne “moltiplicate”, preda di un vortice dinamico che ne offusca quasi le sembianze, per trasformarle in archetipi di una nuova femminilità, più complessa, più multiforme, più consapevole della fugacità dell’esistenza, del fatto che il quarto d’ora di celebrità spettante ad ognuno, prefigurato da Andy Warhol, era stimato per eccesso.”

 

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