“Un mondo sospeso tra memoria e futuro, una pittura dove il tempo sedimentato e interiore si intreccia al dinamismo contemporaneo della percezione elettronica, uno sguardo in cui la forma si blocca e si disperde in una dialettica costante tra la millenaria fissità dell’immagine e la sua accelerazione contemporanea: l’opera di Evita Andújar si muove su queste coordinate dove la pittura è allo stesso tempo condensata e dissolta in un sistema costruttivo dove i contrari si uniscono e si allontanano in un perenne moto circolare.
Evita Andújar non teme di accettare la sfida del colore con cui si confronta in modo intelligente, usando i contrasti e le tonalità accese per dare vita a quadri dove gli innesti timbrici e l’intensità della tavolozza diventano strumenti di un’azione meditata e coerente, in un lavoro che utilizza l’apparato iconografico, apparentemente sereno, della vita borghese per trasformarne radicalmente il significato.
Nei limiti di questo spazio incerto, Evita Andújar ha costruito il tessuto mobile e aperto della sua opera, ampliandone i confini fino a raggiungere un nuovo limite dove la metamorfosi della sua pittura sfiora il limite dell’astrazione senza però annullare la presenza iconica delle cose, in un bilanciamento sottile e difficile tra la nostalgia e la vitalità, tra lo smarrimento e il ritorno, in un turbine dove le bilance, i tostapane e le tazzine si disfano sotto il soffio di un vento e in un misterioso pulviscolo di colore e di luce.
I momenti condivisi, gli spazi e gli oggetti della vita di tutti i giorni vengono dipinti così dall’artista mostrandone all’inizio la stabilità e la solidità, nella stasi di immagini che vengono poi destrutturate e sconvolte da una sorta di vortice che attraversa la loro materia cromatica, in una scomposizione che dialoga volutamente con la pittura gestuale e con una matrice baconiana, con una qualità declinata però attraverso uno sguardo più intimo, dove il racconto metaforico dei drammi familiari non raggiunge una dimensione tragica ma scopre gli scontri invisibili e le melanconie segrete dell’esistenza quotidiana per trovare, attraverso la pittura, un nuovo equilibrio tra i sentimenti e gli eventi, tra la fuga e il ritorno, al confine tra realtà e rappresentazione.”
Lorenzo Canova
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Nella serie Liquidi 1.0 il lavoro pittorico di Evita Andújar approfondisce le possibilità della sua pittura di creare stimoli visivi. Si propone esplicitamente un’idea di individuo e di quotidiano, una sensazione di velocità pittorica fugace e particolarmente intima. Si ottiene una sorta di vibrazione sottile.
Qualcosa di breve e qualcosa di vicino ci vengono incontro
Punto di partenza dichiarato dall’artista è il bombardamento mediatico: il disorientamento dell’individuo. Attraverso immagini apparentemente statiche viene mostrato un latente desiderio di trasformazione. È in atto un’indagine più profonda dell’individuo.
L’individuo vibra, si muove, rischia di perdere la sua identità e la sua presenza. Con il flusso continuo e incessante di dati e la sua dinamica anarchica, la rete pervade la nostra vita personale. La comunicazione sovrasta l’identità.
I cambiamenti introdotti mutano il concetto di tempo, c’è una nuova velocità con cui si muovono le informazioni. Non esistono più solide informazioni, bensì i resti liquidi di quello che fu.
La nostra vita è caratterizzata dall’ossessione compulsiva delle cose da fare, da vedere e da sapere, è stata trasformata da internet. È stata, talvolta, trasformata in internet.
Il mondo sembra dissolversi, ma rimane, resiste, vibra attonito e si avvicina al guardatore, quotidiano, forse distratto, forse stupefatto passante.
Questo lavoro reagisce a sua volta liquefacendosi, spostandosi, mostrandoci gli effetti di una sensazione sulla vita, sul mondo, sullo scorrere delle cose.
Fabrizio Pizzuto
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Una porta rappresenta sempre un solco, un taglio nella realtà. Indica un transito, un passaggio emozionale prima che ambientale. Anche l’ingresso con cui la Chiesetta della Madonna del Pozzo presso Porta Monterone si apre alla strada, e tramite essa, alla città, rappresenta un limite, un confine tra sacro e profano, presente e passato, vissuto e auspicato. Un luogo speciale, santificato dalla fede e sublimato dall’arte, ogni mese, da diciotto anni.
Invitata a progettare un’installazione site specific, Evita Andujar ha ridefinito il piccolo volume, connettendo pieni e vuoti, materia e pensiero.Riflettendo sul concetto di soglia, intesa in senso metaforico oltre che fisico, linea di demarcazione tra desiderato e avvenuto, tra il sentire e l’essere, l’artista ha dato corpo ad un’installazione sensibile, interagendo con lo spazio ospitante ma anche con la comunità che con esso si rapporta, a prescindere che il fine della relazionesia il bisogno del divino o la pura contemplazione estatica.
La grazia divina sintetizza questo stato liminale, rappresentando una meta irraggiungibile per l’umano e di contro, un segno della presenza e onnipotenza celeste.
Soglia e grazia sono i due concetti attorno ai quali l’artista ha concretizzato il suo intervento. Un velo miracoloso, quasi un sudario, sembra discendere dalla Vergine fino al pozzo miracoloso, accesso oltre l’accesso, facendo della piccola chiesa un interstizio tra luce e buio, umano e sovraumano. Annunciato sulla mensa da un’apertura simulata, il panno da invisibile si fa tangibile sul fronte dell’altare, fino a scomparire nel pozzo, luogo taumaturgico e miracoloso. Sulla tela l’artista è intervenuta dipingendo brandelli di corpi, nuovi ex voto, auspici di grazia individuali e collettivi. Immagini incongrue, simili a trasmutazioni alchemiche, che Evita attinge dalla realtà corporea, salvo poi tramutarli in puri impasti di luce e colore, residui di un’umanità alienata che lascia dietro si sé solo reliquie prive di santità.
Rinunciando alla narrazione e ad ogni intento didascalico in favore di una pittura “pura”, l’artista attinge alla dimensione astratta, innalzando il caso specifico – personale – ad esempio universale e trasformando l’episodio unico in un dramma umano di portata generale.La sua pittura si caratterizza per un gesto frenetico, primitivo e istintivo, dove le parti anatomiche sono forme semplici tracciate velocemente.Evita concentra la propria indagine sui temi della morte e della vita, con una mano impulsiva e sempre attenta a sondare le infinite potenzialità del colore, ora acceso ora scaricato in perlacei bagliori, evitando ogni decorazione. L’intuizione si plasma nel pennello e il fuoco interiore resta inciso nelle immagini, facendo della pittura una “distilleria in cui gli stati d’animo prendono vita” (Clark Coolidge).Nel suo operare l’opera da oggetto di contemplazione si trasforma in soggetto che osserva e interpreta l’ambiente circostante, in un dialogo paritario che genera empatia con lo spettatore. Il telo nel suo manifestarsi verso il basso si carica di significati profondi, rappresentando un cordone tra la Vergine e il pozzo e visualizzando non solo le proprietà miracolose del luogo ma anche le aspirazioni dei fedeli che alla Madonna per secoli si sono affidati speranzosi. Oggi, in epoca di fede compromessa, la discesa del telo rappresenta un rito catartico attraverso cui lo spettatore si perde nel mistero,forse del divino, ma anche della conoscenza e dell’ignoto. Simile ad una preghiera, a Spoleto,la pittura di Evita Andujarsi fa tramite per la grazia, ponendo l’attenzione sul ruolo eversivo e allo stesso tempo salvifico della bellezza.
Carmelo Cipriani
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Guardo la pittura colare, fuggire, il mondo dissolversi, i pensieri spostarsi e spingersi spintonando per salire in vetta alla mente. Guardo e solo per un attimo appare Maria, il cerchio perfetto, la Madre che porta tutto nel cuore. Poi scompare nel magma del mondo presente. L’unione alla porta Divina diretta, non umana, informe, intuitiva, e poi invece umana, vestita di sguardo fisso e di contemplazione. Come pittura che perde il concreto e dimentica sé stessa, poiché in sé stessa non c’è alcuna strada. Ti avvicini e non c’è più. Creazione è conoscenza? Parte dei pensieri ne dubita. Non c’è controllo alcuno e niente di nuovo è sotto il sole, solo un affannarsi. Così subentra una sequenza errata. Il mondo per come lo conosciamo: contraddittorio, discorde. Eva che diventa Ave, nuove porte.
Fabrizio Pizzuto
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Fluire e velocità in sospensione diventa la chiave di volta per avvicinarsi alla ricerca di Evita Andújar. Un progetto “Liquidi” che nella residenza Bocs Art prende una nuova dimensione e per la prima volta l’artista traspone il concetto di liquidità dalle tele all’architettura e a lei stessa con una performance finale usando sempre come mezzo però la pittura. Il tutto così diventa un’opera pittorica tridimensionale.
PERFORMANCE LIQUIDI 7 (installazione pittorica performativa)
La performance si sviluppa all’interno del Bocs Art dove previamente si è fatto un intervento pittorico sulla facciata in modo puntuale per avere la sensazione che l’architettura si stia sciogliendo.
Oltre che sull’archittetura si è applicato sul riverso della vetrata inferiore uno strato pittorico con delle macchie colore carne apparentemente incongruenti e sull’esterno una macchia nera che si sviluppa sul pavimento del marciapiede.
La performance comincia con la discesa dell’artista stessa mantenendo lo sguardo basso dalle scale in fondo al Bocs a ritmo molto lento con addosso un lungo vestito nero.
Arrivata al piano inferiore si ferma e guarda il pubblico, con passo deciso si avvicina alla vetrata e si appoggia su essa.
A questo punto lo spettatore avrà la percezione finale dell’opera adesso completata.
Come in uno dei suoi dipinti, sfondo e figura soffrono il peso di una società compulsiva e vorace dove non esistono più solide fondamenta ma ben sì solo resti liquidi di quello che fu.
Le macchie diventano la sua carne che si scoglie insieme al vestito e al resto dell’archittetura.
È ferma per qualche minuto, poi lentamente si sposta e va verso la porta.
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